Per le amanti delle fibre di lusso nostrane, il cachemire rappresenta da tempo il massimo del lusso possibile, ma è proprio così? Specifichiamo che qui stiamo parlando di fibre animali puramente naturali, che includere nel conto anche un filato contenente oro o platino potrebbe succosamente cambiare i termini del problema. Ebbene, anche nel novero delle fibre naturali esistono materiali di molto maggior pregio e prezzo del cachemire (che pure resta una fibra di assoluto prestigio). Vediamone alcune.
La vigogna si batte vigorosamente per il primato tra le fibre più care sul mercato. Si tratta del camelide più piccolo al mondo, diffuso sulle Ande e protetto per legge (dopo essere stata sull’orlo dell’estinzione) già dal 1825 in Perù (dove vive il maggior numero di capi) e almeno dagli anni Settanta in tutti i paesi confinanti (Cile, Bolivia e Argentina). La vigogna ha un sottovello di eccezionale finezza, 12 micron di media contro i 15 del cachemere, e che cresce molto lentamente. La piccola vigogna può essere tosata solo ogni due anni e ogni animale produce mediamente 250 grammi di fibra succida contro i 500 della capra cachemire e gli oltre tre chili della pecora merino. La fibra di vigogna succida, cioè non lavorata, raggiunge i 400 dollari al chilo.
Il qivut, ovverosia il sottovello del bue muschiato, è la fibra tradizionale degli eschimesi. I missionari introdussero la lavorazione ai ferri durante l’epoca della scolarizzazione forzata delle popolazioni native, e le donne eschimesi mantennero la tradizione della lavorazione ai ferri usando i materiali della tradizione, ovverosia il qivut (originariamente raccolto a terra durante la muta primaverile) e producendo accessori a pizzo caratteristici. Dagli anni Sessanta, il bue muschiato è stato domesticato e questo ha reso possibile raccogliere la fibra mediante pettinatura del vello. Anch’esso più fine del cachemere, il qivut richiede lavorazioni interamente manuali di pulizia ed eliminazione delle fibre più lunghe del vello esterno, infatti la cardatura tradizionale rovinerebbe questa fibra così delicata. Un bue muschiato adulto può produrre da 2 a 3,5 chili di qivut all’anno, purtroppo però il numero di questi animali è limitato a circa 100.000 esemplari, solo parte dei quali in cattività.
Il bisonte americano è un altro animale che è stato lungamente a rischio di estinzione. Le popolazioni, quasi distrutte dalla caccia indiscriminata e dalle ferrovie nel 1800, sono state salvate dalla creazione dei parchi nazionali americani e, in decenni più recenti, dall’allevamento, reso commercialmente profittevole sia dalla carne (gustosa e priva di colesterolo) sia dalle pelli sia, ultimamente, dal filato in sottovello di bisonte. Data l’estrema temperamentosità dell’animale, il bisonte non può essere né pettinato né tosato: sono i velli degli animali uccisi a scopo alimentare che vengno rasati e lavorati per dare origine al filato, per questo il filato di bisonte non è adatto ai vegani, tuttavia vale la pena sottolineare che se il bisonte non è più a rischio estinzione è proprop grazie all’allevamento a scopo alimentare. Il sottovello ha una finezza compresa tra i 12 e i 50 micron, simile alla lana di pecora, ma è più caldo, isolante e confortevole anche se umido.
Lo yak è un bovino caratteristico del tibet (presente anche in Nepal, India, Bhutan, Mongolia e nelle regioni montane della Cina), dove viene usato come animale a tutto tondo: da lavoro, da latte, da carne e da fibra. Ogni yak produce meno di un chilo di sottovello l’anno, che viene rimosso per pettinatura. Questo sottovello ha una finezza di 12-16 micron, simile o inferiore a quella del cachemere, che viene cardata meccanicamente e filata. Al momento il maggiore produttore di filati in Yak è Bijou Basin Ranch, distribuito anche in Italia. Piccole mandrie di yak sono presenti anche sulle nostre alpi (famosa quella di Reinhold Messner a Solda), per cui possiamo avere speranze di avere un giorno un filato di yak tutto italiano, magari in mescola con la lana di una qualche pecora autctona. Il filato di yak è il meno costoso tra quelli presentati in questo articolo, “solo” 27 euro per 57 grammi per la Lhasa Wilderness (75% yak, 25% bambù).
Un discorso a parte andrebbe fatto per lo shatoosh, la fibra più costosa e fine in assoluto (con una finezza media di 9-11 micron). L’antilope tibetana o chiru è un minuscolo ungulato, alto solo 80 cm al garrese e in forte stato di minaccia, con meno di 80.000 esemplari in libertà che vive sui più alti altopiani asiatici, oltre i 5.000 metri. Impossibili da allevare e quindi tosare o pettinare, anticamente le antilopi erano cacciate dalle popolazioni nomadi dell’area, quindi i mantelli venivano venduti ai filatori e tessitori del Kashmir. Oggi il chiru è una specie protetta ma che continua ad essere minacciata dal bracconaggio mirato al suo preziosissimo vello. Mentre il qivut e perfino il vello di bisonte sono comunque uno strumento di preservazione delle specie (sebbene il bisonte debba essere ucciso per trarne il vello), dato che danno maggiore redditività all’allevamento di questi animali, l’antilope tibetana, non essendo domesticabile, viene posta a severissimo rischio dalla caccia. Per questo invitiamo a lasciare il vello del chiru sulla schiena dell’animalino vivo: se vorremo vedere un scialle di pregiatissimo shatoosh ci limiteremo a vederlo nella sua forma naturale, addosso al chiru vivo nei documentari di Quark!
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