Diciamolo, in Italia siamo tossicodipendenti da lana soffice. È difficile proporre una lana secca in questo paese, in cui l’unico gomitolo degno di questo nome pare essere la Merino supermorbidosa e supertrattata (ne esistono addirittura alcune che dichiarano in etichetta di essere “supersoft”). E, per carità, a chi non piace una lana morbida come burro? Ma siamo poi sicure che l’unica lana bella sia la lana morbida?
Io sono decisamente una tossicodipendente da lana Shetland, una fibra totalmente diversa dalla Merino: se le pecore Merino sono nuvole gonfie di vello, le Shetland sono bestiole ben più rustiche, abituate al clima freddo e povero della Scozia settentrionale, con un vello meno abbondante e, a sua volta, più rustico e… Multicolore. In realtà la lana Shetland è molto fine, ma alla mano risulta secca e, appena lavorata, la sensazione che può dare è di ruvidezza e durezza del lavoro. La magia con la Shetland avviene appena la si lava. Il lavaggio infatti ne cambia la natura, infeltrendola leggerissimamente senza ridurre in modo significativo le dimensioni del capo ma rendendone la superficie molto più morbida e quasi vellutata.
Ho recentemente finito un cappello lavorato con la Scottish Tweed Aran di Rowan, un filato fuori produzione in lana Shetland. Il filato (a due capi, con una torsione bassa e quasi per nulla elastico) ha prodotto in prima istanza un cappello ruvidissimo, aspro, sgradevole da indossare. La magia, appunto, è arrivata con il primo lavaggio che l’ha reso molto più morbido e piacevole, quasi vellutato. Per carità, non liscio come se fosse stato fatto con la Merino (magari quelle Merino supertrattate…), ma morbido di una morbidezza non pretenziosa, campagnola. E io amo la Shetland per questa metamorfosi.
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