Questo seminario online sullo slow knitting (e crochet) promosso dall’editore Interweave ci ha portate questo post su una riflessione sulla velocità e la lentezza nell’aguglieria che da tempo stavano facendo. Non per niente è emersa anche alla tavola rotonda organizzata da IOdonna ad Abilmente e di cui siamo state ospiti. Prova questa, se mai ne avessimo avuto bisogno, che il dilemma lentezza/velocità che sta caratterizzando l’occidente capitalistico è ovviamente presente anche nel mondo dell’hobbistica.
Spesso, specie le principianti, vengono attirate da lavori con ferri o uncinetti grossi e filati superbulky, che promettono di essere veloci e divertenti, perfetti per un momento di gratificazione istantanea. E alla fin fine, a molte (me compresa) piace l’idea di poter eseguire un cappellino in due ore.
Il culto della velocità lo ritroviamo anche nelle gare di speed knitting che infestano ormai un po’ tutte le fiere.
Se una persona per lavoro esegue capi su ordinazione, chiaramente sarà nel suo interesse essere veloce e precisa, perché dalla sua velocità dipende la sua paga (quindi la sua sopravvivenza).
E le designer? Ravelry pullula di modelli “facili e veloci”, ma ci sono anche diversi modelli che, invece, portano avanti un approccio diverso, come quelli che si trovano sulla rivista russa “MOD”: filati sottilissimi, uncinetti d’acciaio appena visibili, infinite ore di lavoro per risultati stupefacenti. Pensiamo a designer come Olga Krivenko (Olgemini), Lidia Kiselyova o Svetlana Tomina.
Quello che viene proposto nel seminario online di Interweave è proprio rallentare per dedicarsi alla creazione e godere del lavoro, della pratica, senza considerarla come un task volto al raggiungimento di un obiettivo, una forma mentis, quest’ultima, tipica della catena di montaggio fordista.
La divisione tra chi si dedica a produrre il maggior numero di progetti finiti in un tempo X (o al terminare un progetto in fretta) e chi invece al godimento della lavorazione in quanto pratica, è già stata in passato catalogata come divisione tra magliste di prodotto e magliste di processo, segno del fatto che questo tema è ricorrente e che lo slow stitching movement di cui parla Interweave è una minestra che abbiamo più volte riscaldato senza mai però davvero digerire.
Se l’aguglieria è il nostro hobby, ossia un’attività da compiere nel nostro tempo libero, cosa dice di noi il fatto che, anche in un momento in cui dovremmo scollegarci dall’ottica produttiva, dal culto della velocità, non ci riusciamo, e invece abdichiamo i nostri momenti di relax al culto della produzione compulsiva?
Stavo recentemente parlando con una mia amica, molto preoccupata dal fatto che non riuscisse a tenere il ritmo delle sferruzzatrici intorno a lei. Un’ansia non giustificata da altri motivi se non da un’ansia da performance di cui sembrano ormai soffrire in molte nel mondo dell’aguglieria hobbistica.
Se poi questa produzione compulsiva è dovuta al tentativo disperato di smaltire uno stash che pesa più di noi, non sarà il caso che ripensiamo anche alle nostre tendenze all’accumulo? All’identificazione della nostra identità con ciò che compriamo e non con la bellezza di ciò che abbiamo prodotto con le nostre abilità?
Cosa conta di più per noi?
Per me, ora e sempre #poterelento
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