La nostra collega Sara è incappata su un post su FaceBook molto condivisibile, infatti l’ha condiviso con il resto della redazione, che si è alzata in una standing ovation.
Il post di Vendetta Uncinetta, al secolo Gaia Segattini, tratta di tutti gli aspetti pratici che vengon solitamente ignorati da chi non si occupa di crafts (quelle solitamente chiamate “arti femminili”). Il suo post tocca inoltre il tasto dolente della diffusa presunzione di gratuità tutto ciò che si trova in Rete.
Abbiamo quindi scavato per sapere chi era la nostra anima gemella di post e abbiamo incontrato Gaia, che cura la rubrica Vendetta Uncinetta per “Vanity Fair” e collabora con Frizzifrizzi, ha un sito personale ricco di informazioni (anche sul consumo etico), notizie tutorial e divertenti vignette e un negozio su A Little Market.
Leggiamo sul tuo blog che hai una formazione come Fashion Designer, quindi c’è sempre stato in te il desiderio di fare una professione delle cosiddette “arti femminili”?
Sono stata stilista per quasi 18 anni e, specie negli ultimi anni, il mio lavoro era diventato esclusivamente digitale.
All’inizio carriera spesso capitava anche di lavorare direttamente sui capi, effettuare sdifetti, aggiunte dell’ultimo momento, prove e prototipazione, ma con la delocalizzazione delle produzioni tutto il modo di lavorare, a partire dalla progettazione, si è svolto quasi unicamente online.
Frustrante ma soprattutto controproducente per tutto l’indotto, per non parlare dell’annientamento di qualsiasi diversificazione in tutti il segmenti di target, basta guardare le vetrine oggi.
Un lavoro che era diventato tutt’altro che creativo e manuale, insomma. Diciamo che anche io, come molte ragazze della mia generazione, ero totalmente arrugginita dal punto di vista manuale.
Il tuo focus è sul riciclo e sulla personalizzazione, è qualcosa che ti è stato trasmesso dalla tua famiglia o un approccio che hai scoperto in una crisi di consapevolezza post-consumista, o…?
Sono stata bambina negli anni ’70, mi ricordo riviste come “Brava” (una sorta di antenato di “Casa Facile” e “Mollie Makes” frullati insieme) in cui si insegnava a farsi librerie da cassette di verdura e giacchine naif da bambini con panno e punto festone.
In casa giravano un sacco di libri di autosufficienza e fai da te: mi ricordo che mia mamma aveva un paio di jeans a zampa su cui, per coprire dei buchini, aveva ricamato delle margherite. Per lei era stata una necessità, io me li ricordo solo bellissimi e diversi. Dev’essere per questo che non ho mai pensato al riciclo e alla personalizzazione come un ripiego ma ad uno stimolo creativo.
Di recente hai anche pubblicato un libro per Gribaudo, Rinnova il tuo guardaroba. Vuoi parlarcene? Come è stata l’esperienza di dover produrre un intero volume? Pensi che ne farai un secondo?
E’ stato il progetto più impegnativo che ho mai affrontato ed anche quello che ho seguito con più passione. Per me è sempre stato fondamentale comunicare coinvolgimento, entusiasmo ed ironia: far capire a chiunque che con poche mosse si possa realizzare qualcosa di semplice ma dal gusto fresco e contemporaneo. Con questo obbiettivo in mente ho affrontato i progetti, la scelta delle foto, dei ragazzi, lo styling e tutta la comunicazione post pubblicazione. Volevo un po’ sfatare il binomio che in Italia viene spesso considerato indissolubile, tra manualità ed impegno quasi religioso… quello c’è successivamente se si vogliono raggiungere risultati di eccellenza tecnica, ma per cominciare ci vuole divertimento ed apertura mentale. Spesso invece si vedono creazioni magari impeccabili tecnicamente ma che non comunicano nulla dal punto di vista estetico.
Per il secondo libro… non dipende da me, ma diciamo che ci sono buone possibilità!
Parliamo un momento degli e-shop che vendono prodotti handmade, ad esempio Etsy o Dawanda o A Little Market, dove hai il tuo negozio. Cosa ne pensi del fatto che molte crafter vendono le loro creazioni a un prezzo infimo, sostenendo che nessuno è disposto a pagare per un prodotto handmade, non brandizzato?
L’argomento è spinoso. Si va da chi deprezza ingiustamente le proprie creazioni creando problemi a chi invece fa pagare quello che è giusto, facendolo passare per esoso, a chi (e sono parecchie!) con la scusa del fatto a mano, pone prezzi esagerati su prodotti inutili, copie delle copie di altri o semplicemente esteticamente inguardabili, mal presentati. Bisognerebbe farsi un po’ di esame di coscienza, guardarsi con gli occhi degli altri e non con quelli dell’amica che ci vuole bene (e che ne sa meno di noi). Capire il gusto nell’aria, studiare il packaging, non copiare cose già presenti. Ricordiamoci che chi acquista deve innamorarsi: sicuramente anche della qualità ma il primo sguardo va sempre all’aspetto, a voi non succede lo stesso? E poi chiedersi sempre: “perchè dovrebberlo comprare quest’oggetto proprio da me?”.
Regole semplici alla base del commercio, non solo di quello online. Voi entrereste in un negozio con una brutta vetrina? E invece quante volte avete comprato cose che neanche vi servivano solo perchè vi piaceva l’atmosfera del negozio (online ed offline)?
Lavorate all’oggetto ma anche a creare quell’atmosfera, allora, sono importanti allo stesso livello.
Nel tuo post affronti vari problemi che dobbiamo affrontare in molte e credo che alcuni di questi problemi (la richiesta di consulenze e workshop a titolo gratuito, il furto di articoli e foto) sono endemici e non riguardano solo il nostro ambiente. La nostra redazione continua a fare attività di informazione su FaceBook, sui vari social media, sul nostro portale e dal vivo ogni giorno, ma sembra di combattere contro i mulini a vento: la diffusione di Internet non è stata accompagnata da una formazione sul suo corretto uso e sul come “abitarlo” con rispetto, insomma sulla Netiquette. Vuoi raccontarci qualche aneddoto eclatante? Hai delle strategie di riduzione del danno che applichi e vuoi consigliare?
La scena handmade/craft italiana è davvero giovanissima ed è ancora difficilissimo far capire che per alcuni è una professione (impegno di moltissime ore lavorative, studio, ricerca, divulgazione, rete, aggiornamento professionale, etc) e non un hobby.
Detto questo, potrei distinguere due tipi di problematiche:
-la prima, legata al furto e condivisione di materiale fotografico non proprio spacciato invece come tale, viene perpetrata spesso per superficialità ed ignoranza ma a volte invece con presunzione: quella di credere che nessuno capirà la fonte originale del nostro materiale. A queste persone vorrei dire che siamo nel 2014, esistono gli screenshots (per chi fa sparire foto sospette pensando di eliminarle per sempre), ricerche google immagine (per trovare la stessa foto pubblicata altrove) e che Pinterest lo guardiamo tutti: prima o poi salterà fuori qualcosa e farete una figuraccia che si ripercuoterà sulla vostra credibilità per un sacco di tempo, vi conviene?
Poi c’è anche chi si sente creatore assoluto ed inventore di tecniche, punti e manufatti che invece esistono da sempre e si lamenta di supposti furti con polemiche infinite. A queste consiglierei invece un po’ di umiltà (che è sempre necessaria a tutti i livelli) e di darsi da fare maggiormente in senso creativo (vedi sopra).
In generale consiglio sempre di aggiungere il proprio nome o brand sulla foto, come watermark. Si possono togliere anche quelli, ma in quel caso, una volta scoperto un furto o una contraffazione, la malafede sarà evidente.
-la seconda è la richiesta di consulenze, lavori, workshops etc a titolo gratuito o in “scambio di visibilità”: la visibilità, se data da chi è più “grande” di noi o siamo ad inizio carriera, può essere valutata ed accettata, un po’ di gavetta bisogna farla sempre: serve se non altro a capire come lavorare meglio o a confrontarci con metodologie professionali differenti. Non serve se invece si parla di realtà con pubblici differenti dal nostro, magari anche con nomi importanti: a volte danno più visibilità (in termini di traffico o “curriculum”) collaborazioni con crafters/bloggers con un bacino d’ utenza simile al nostro che un post su un mensile celebrato, il cui pubblico è più generico e non andrà mai ad approfondire chi siamo. In generale direi che si possa accettare di lavorare gratuitamente solo se, a nostro insindacabile giudizio, il gioco vale la candela , ma mai di perderci eventuali spese di: viaggio, materiali, volantinaggio, etc. Questo, davvero, nessuno se lo può permettere e non è giusto a nessun livello.
Per farsi pagare, invece, bisogna che sia chiara e definita la nostra professionalità e la qualità del nostro lavoro: stesso discorso che ho fatto prima in merito al valore percepito di ciò che vendiamo.
Vuoi dirci quali saranno i tuoi prossimi progetti e corsi?
Ho un progetto bellissimo di beneficenza in corso, nato da uno dei miei workshops sul riciclo dei calzettoni per farne pupazzi (tecnica che, sia chiaro, non ho inventato io) che ne donerà 200 ai bambini del reparto Oncologico dell’Ospedale Pediatrico di Bari, un progetto emozionante a cui hanno partecipato persone da tutta Italia e di cui sono onorata di essere madrina, si chiama “Solleva la mente con le mani del cuore”.
In questi ultimi giorni sto anche lavorando ad un’ idea molto appassionante per la mia città, Ancona, che dovrebbe mettere insieme le due facce della scena handmade, i crafters ed i makers, spero che sia approvato presto. Ho nel cassetto il mio secondo libro ed anche una grande voglia di tornare a progettare per l’abbigliamento, inoltre il mio sito Vendetta uncinetta, da poco online, in cui mi sto impegnando per pubblicare guest post ispiranti, nuove rubriche e specialmente nuovi tutorials e scaricabili…basta? 🙂
Grazie ragazze!
Gaia*
Ringraziamo nuovamente Gaia per il tempo dedicatoci nel rispondere con tanta cura alle nostre domande.
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