In un bel pomeriggio di gennaio ho incontrato Stefania de Il Gomitolo Errante & L’Artigiano Resistente nella sua casa-laboratorio a Valloriate (CN), in Valle Stura.
L’aria frizzante di un assolato venerdì invernale ha accompagnato il mio viaggio verso Valloriate, comune sito in un vallone laterale della splendida Valle Stura. Qui mi aspettava Stefania, meglio nota come Il Gomitolo Errante & L’Artigiano Resistente, per una chiacchierata sulla sua esperienza come artigiana. Raggiunta la sua casa-laboratorio e messo su un buon tè, abbiamo parlato per ore, confortate dal calore della stufa e dal piacere di scoprire opinioni e idee comuni pur senza mai esserci incontrate prima.
Stefania ha da poco annunciato la decisione di cessare la sua attività di artigiana.
Nelle sue parole: “Ho tentato ostinatamente contro tutto e tutti, ma ho fallito. (…) Il tempo dei tentativi per me si è esaurito, non certo per mia mancanza di volontà.” Come? Con tutto il parlare che si fa della valorizzazione dell’artigianato, dell’importanza di mantenere viva la montagna, di quanto sono bravi i giovani che fanno gli artigiani… com’è possibile che una ragazza di 25 anni faccia una scelta simile?
Semplice: di ideali, non si campa.
Stefania lavora a maglia da anni; essendo talentuosa, ha giustamente deciso di provare a vendere i suoi manufatti, principalmente tramite i mercatini dell’artigianato. L’inizio pareva incoraggiante, tanto da portarla ad acquistare una macchina da maglieria per incrementare la sua produzione. Da persona determinata e decisa, ha imparato ad usare la macchina con una rapidità ed una destrezza notevoli. Non solo: tutti i suoi accessori sono realizzati con filati scelti in modo accurato, di alta qualità, sovente anche provenienti da filiere tracciabili, talvolta tinti da lei.
Insomma, i presupposti per il successo ci sarebbero stati tutti, no? No.
Se in un primo momento qualcosa si vendeva, soprattutto nel periodo natalizio, la situazione è degenerata rapidamente. I problemi? I prezzi troppo alti (25,00 € per uno scaldacollo in alpaca con fantasia jacquard…), la mancanza di un e-shop, la sfiducia di fronte ad una persona così giovane che si dedica ad un lavoro “antico”, e tanti altri. Chi va a passeggiare tra le bancarelle perché non sa cosa fare la domenica non si rende conto, ovviamente, del valore di quello cui si trova davanti; non ha idea delle ore di lavoro che ci sono dietro; non è interessato alla qualità, ma solo al cartellino del prezzo. Questo, per un artigiano, è aberrante.
Immaginate di lavorare dal lunedì al venerdì ai manufatti (concepirli, progettarli, realizzarli, confezionarli), e poi passare il weekend a mercanteggiare con persone che dubitano del fatto che siano stati realizzati da te perché sei “una ragazzina”, che li trovano troppo cari, che li hanno visti a meno su internet – e che alla fine, in effetti, non li comprano. Immaginate di tornare a casa senza praticamente esservi ripagati le spese del weekend fuori; weekend che avete trascorso in solitudine, lontani dai vostri affetti, lontani dal territorio che amate. Immaginate di vedere il vostro lavoro continuamente sminuito, tanto da arrivare a viverlo con insofferenza. Immaginate di non avere il benché minimo riscontro economico. Davvero continuereste su quella strada?
Ci sarà stato almeno il supporto della comunità locale?
No. L’artigiana, in questo caso, è sempre stata sola. Sola quando veniva additata come pazza per il suo stile di vita ed il suo lavoro anomali; sola quando le sue proposte di capi realizzati su commissione cadevano nel vuoto; in ultimo, sola quando ha affrontato la sconfitta e annunciato la scelta di cambiare lavoro.
Stefania riflette: “Penso di poter ambire a qualcosa di più che mangiare, bere, dormire e pensare qualora me ne rimanga lo stimolo, la voglia o il sogno. (…) Più di ogni cosa desidero avere tempo per chi amo e per me, ore preziose che valgono più del denaro e di cui negli ultimi mesi sono stata quasi completamente priva“. Parole sacrosante, secondo me. Invece, da tanti queste parole sono state viste come un tradimento. Il tradimento dell’idea dell’artigiano che vive una vita frugale ma piena di soddisfazioni legate al suo lavoro, della giovane donna forte che sconfigge tutto e tutti e va avanti per la sua strada creativa, e tante altre, lasciatemelo dire, scemenze.
Con Stefania abbiamo parlato a lungo, abbiamo riso, ci siamo infervorate, e soprattutto siamo state molto sincere l’una con l’altra. Non posso dire di conoscerla bene, naturalmente, ma a volte non c’è bisogno di conoscersi da una vita per capirsi – e noi ci siamo capite al volo.
Lei aveva degli ideali fantastici, quando ha intrapreso questa avventura.
L’ideale espresso dal nome della sua attività, l’Artigiano Resistente, è qualcosa di davvero bello: l’artigianato vissuto come Resistenza, in un territorio che la Resistenza l’ha conosciuta fin troppo bene. L’artigiano che combatte contro una maggioranza che sembra imbattibile, che presidia l’amata montagna, che vive una vita dal sapore antico.
Tutto molto bello, se non fosse che la realtà è un’altra.
L’artigiano deve comprarsi da mangiare, perché anche se dispone di un orto, questo non basta a sfamarlo. Deve pagare le bollette, perché anche se si scalda (quando si scalda) con la stufa a legna, l’elettricità serve. Ancora, deve acquistare le materie prime per il suo lavoro, perché i filati, cosa curiosa, non si materializzano per magia sugli alberi intorno a casa. Ultimo ma non meno importante, l’artigiano è una persona. In quanto tale, per quanta importanza dia ad un lavoro che ama, vorrebbe avere una vita.
Allora bisogna fare una scelta: incaponirsi, continuando a non guadagnare e a vivere, stentando, con gli aiuti esterni? Abbandonare il proprio territorio e mettersi a viaggiare per tutto il paese, sperando che da altre parti ci sia un riscontro importante? Oppure ammettere che non si è più disposti a scendere a compromessi, cambiare mestiere e lavorare in città, rimanendo a vivere in montagna? La scelta di Stefania è stata quest’ultima, ed io non posso fare a meno di pensare che sia stata la scelta più sensata. Se viviamo in una società che ci costringe a scegliere se sopravvivere, rinunciando a tutto tranne che al lavoro, oppure vivere con un minimo di tranquillità in più, magari non facendo il mestiere dei sogni, ma con la possibilità di avere una vita all’infuori del lavoro, la colpa non è dell’artigiano.
Cambiare lavoro, per un artigiano, non è il tradimento di un ideale, come sostiene qualche allucinato. Si tratta di una forma di ribellione alla mera sopravvivenza.
Nel caso di Stefania, è avvenuta la transizione dall’Artigianato come Resistenza alla Resistenza alla Sopravvivenza. Il concetto non cambia: si Resiste, con tutte le proprie forze, a quello che c’è fuori. Ad un sistema economico insensato, alle richieste sempre più pazzesche di un pubblico arrogante ed ignorante, alla gente “non di qui” che ci accusa di vivere in una realtà che non è quella del resto del Paese, e di non volerci adeguare agli standard richiesti altrove. Stefania resiste. Io resisto. Ma resistiamo in maniera diversa da prima; non siamo stanche di lottare, semplicemente lottiamo per la nostra felicità, per la nostra vita, e non per il nostro lavoro.
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